8 marzo, come stanno le donne?

Sono stanche.

Si sentono sole.

Equilibriste sul filo di una connessione a volte instabile, tra DAD e smart working, spesso senza congedi o aiuti, nell’ultimo anno si sono fatte carico di quasi tutti gli obblighi di cura. 

Durante il primo lockdown hanno fatto fronte all’emergenza mettendo in campo risorse e nuove competenze.

Ma nessuno pensava che l’incertezza durasse tanto. 

E che in troppe perdessero il lavoro. 

Oggi i dati dicono che le donne, soprattutto se mamme, sono tra le principali vittime sociali  ed economiche della pandemia.

L’indagine Ipsos per WeWorld rivela che:

📍1 su 2 ha visto peggiorare la propria situazione economica;

📍1 su 2 teme di perdere il lavoro;

📍1 donna disoccupata su 4 ha rinunciato a cercare un nuovo impiego;

📍2 su 5 dichiarano di farsi carico da sole di bambini o anziani;

📍l’80% delle donne intervistate dichiara un impatto devastante anche sulle proprie relazioni sociali;

📍il 16% ha rinunciato al desiderio di mettere al mondo un figlio in questo momento;

📍a sentire la solitudine sono, più che le single, le giovani madri.

Ma una buona notizia c’è: gli uomini ora percepiscono di più la fatica del conciliare lavoro e famiglia.

Più che una mimosa oggi serve un cambiamento culturale perché, si sa, quando i papà partecipano e giocano in squadra con le mamme si sta meglio tutti. 

Essere genitori al tempo della fase due.

Ci vuole fantasia per essere genitori al tempo della fase due, tutta quella che abbiamo visto mettere in campo dai nostri figli quando la quarantena era rigida e stretta. E anche di più.

Bisogna metterci tutta la creatività che nemmeno sapevamo di avere prima di questa avventura che mai avremmo pensato di vivere, per disegnare ogni giorno la nostra nuova quotidianità.

Occorre essere funamboli, mediatori, grandi esperti nel gioco del “si può fare” e del “non si può ancora fare” per mettere in fila questi giorni nuovi.

Bisogna inventare magie perché mascherina e gel disinfettante diventino normalità e “distanza” diventi una parola amica; trovare strategie alternative perché non ci sia paura ma responsabilità; fare in modo che le passeggiate- solo una passeggiata, niente parco, niente amici- diventino un gioco da esploratori e che un saluto dal balcone, un bacio buttato alle persone a cui vogliamo più bene, il palloncino mandato giù ad un’amica che compie gli anni, diventino piccoli grandi appuntamenti preziosi che ci possono aiutare a tracciare la rotta in questo mondo nuovo.

Buona festa della mamma a tutte noi.

Buona festa della mamma a tutte noi,

perché essere madri al tempo del coronavirus è più difficile e più bello che mai;

perché adesso le ore non bastano più per farci stare dentro tutto e le nostre notti sono sempre più lunghe, ma ce la facciamo sempre;

perché ci siamo chiuse in casa per mesi e abbiamo abbracciato forte i nostri figli e abbiamo spiegato che fuori c’era “il mostriciattolo con la corona” e dovevamo (e dobbiamo ancora!) fare la nostra parte;

perché non vediamo le nostre madri da mesi- e solo noi sappiamo quanto ci mancano- ma sappiamo che il più grande gesto d’amore è proteggere;

perché abbiamo cantato e ballato quando dalle finestre si sentivano le sirene delle ambulanze e abbiamo disegnato, colorato, letto favole, fatto lavoretti, gonfiato palloncini, impastato didò, giocato perfino a calcio in corridoio per tenere allegra la nostra truppa;

perché senza i sorrisi dei nostri bimbi questo tempo strano sarebbe stato infinitamente triste;

perché, insieme a loro, abbiamo trasformato la pandemia in occasione per crescere insieme;

perché abbiamo avuto in dono un tempo tutto nostro;

perché sappiamo fare squadra con i papà e insieme si vince;

perché ci siamo spesso dovute reinventare e trovare un nuovo modo di mettere in fila i giorni;

perché passo dopo passo stiamo disegnando un nuovo modo di vivere, insieme ai nostri figli;

perché è sempre più faticoso insegnare a rispettare le regole e a proteggere gli altri oltre che se stessi;

perché molte di noi hanno perso o perderanno il lavoro;

perché c’è qualcuna di noi che deve inventare il pranzo e anche la cena.

Auguri mamme, a tutte quante.

Alle mamme che allattano e a quelle con il biberon;

alle mamme di cuore e alle mamme di pancia;

alle mamme che sono dovute diventare madri della loro mamma;

ai papà che fanno anche da mamma, perché la vita ha deciso così;

a chi si prende cura di qualcuno a che ama, perché lì sta il segreto, lì la magia.

Auguri a tutte.

E che sia ogni giorno la festa della mamma. In questo mondo nuovo.

Quaranta parole per una quarantena.

Mancano pochi giorni all’inizio della fase due.

Siamo un po’ a fine corsa. Pronti per iniziarne una nuova.

Cominciamo a prepararci, in questi giorni, per affrontare il nuovo mondo.

Dovremo imparare un nuovo modo di vivere.

Usciremo di casa e per molti di noi sarà la prima volta dopo tante settimane.

Sarà come dopo una tempesta. Saremo più forti, ma anche più impauriti; più consapevoli ma un po’ più stanchi.

Abbiamo imparato molto e molto abbiamo- per fortuna- imparato a lasciare andare.

Abbiamo fatto ancora di più il nido nelle nostre case e il pane fatto in casa, ci siamo stretti per farci coraggio, siamo stati vicini anche da lontano alle persone a cui vogliamo più bene, abbiamo abbracciato forte i nostri bambini, usato la rete per fare rete, abbiamo cercato di usare bene questo tempo e di trasformare quello che è successo in opportunità. Perché sarebbe stato davvero uno spreco insopportabile attraversare una tempesta come questa senza imparare niente.

Questo lungo tempo sospeso ci ha cambiati e ognuno di noi si porterà dietro qualcosa.

Io ho immaginato un gioco, che poi tanto gioco forse non è.

Vi lascio qui quaranta parole -o piccolissime frasi- che ho pensato per riassumere la mia quarantena.

Se avete voglia lasciatene una, due, quattro, quaranta.. quante ne volete o quante vi vengono in mente.

Non si vince niente, ma avremo un racconto condiviso. Da tenere da parte. Per farci coraggio quando sarà ancora dura, ma ci ricorderemo- rileggendo- di quando abbiamo fatto la nostra parte.

Ecco le mie parole:

occasione, matite colorate, lavoretti, primavera dalla finestra, balconi, cucinare con i bambini, scrivere, videochiamate, la chat di classe, nonni, distanza, mancanze, giochi, didò fatto in casa, musica, cartoni animati, partite di calcio in corridoio, turni di gioco in cortile, chiacchiere dalla finestra, vicini di casa, ceste appese, spesa settimanale, zoom, padlet, la birretta della sera (pausa genitori), informazione seria, fake news, mascherine, gel disinfettante, notti insonni, yoga, paura, coraggio, affetti, disegni da conservare, amici, compleanni in quarantena, figli, fratelli, arcobaleni.

Essere genitori al tempo del coronavirus

Cari bambini,
vi racconteremo un giorno di questo tempo sospeso, di questa strana primavera che vediamo solo dalla finestra. Non possiamo uscire perché fuori c’è quel mostriciattolo cattivo, quello con la corona di cui abbiamo parlato. Vi ricordate che lo abbiamo anche disegnato?

Vi diremo di quando le vostre scuole sono state chiuse all’improvviso e ci siamo dovuti inventare le giornate; di quando non potevamo andare a trovare i nonni, che ci mancavano moltissimo, ma solo vederli sullo schermo, in videochiamata. E parleremo, un giorno,  di quanto pensavate ai vostri compagni, alle maestre, ai pomeriggi ai giardini, ma vi faremo sorridere riguardando tutti i video che vi siete scambiati tra amici e tutti quelli che vi mandano le maestre- straordinarie- per tenervi compagnia, per farci sentire la loro vicinanza, anche da lontano.

Verrà il giorno, perché verrà sicuramente, in cui ripenseremo insieme a questo tempo così vuoto ma invece così pieno. Di noi, di voi, di crescita. Sarà bello, alla fine, dirvi che abbiamo avuto un’opportunità. Quella di imparare. Ad aspettare, a farci coraggio, ad osservare, a vedervi crescere ancora più da vicino. Ci ricorderemo dei piccoli e grandi riti che hanno scandito le nostre giornate e ci hanno aiutato a mettere in fila i giorni.

E se saremo bravi, e promesso che ce la metteremo tutta, cercheremo di portare nella nostra vita dopo il coronavirus tutte le cose che abbiamo avuto la fortuna di mettere da parte nel nostro cuore.

Che tristezza sarebbe, altrimenti, bambini nostri, vivere una situazione così grande e sconvolgente senza cambiare, senza portarsi a casa nulla.

Siete d’accordo?

Con amore. Mamma

Buona festa della mamma a tutte noi.

Buona festa della mamma a tutte noi;
a chi si alza per prima e va a dormire per ultima;
a chi la mattina pensa di non farcela -ancora un caffè!- ma poi alla fine ce la fa sempre;
a chi passeggia in corridoio la notte per riaddormentare i più piccoli e scaccia mostri e brutti sogni con i più grandi;
a chi corre tutto il giorno ma non dimentica mai di sorridere;
a chi tiene una manina a uno e una manina all’altro (“perché, mamma, noi siamo due perché tu hai due braccia”);
a chi legge e rilegge sempre la stessa favola senza mai annoiarsi, sempre con lo stesso entusiasmo;
a chi corre dietro al monopattino e alla piccola bicicletta, senza dare retta al mal di schiena perché ogni pedalata vale molto, molto di più;
a chi coltiva l’empatia e fa crescere l’autostima;
a chi sa fare un passo indietro perché i suoi bambini possano farne uno avanti;
a chi scende dal trono del “faccio tutto io”, o non ci sale proprio, e lascia che il papà faccia il suo pezzetto;
a chi innaffia ogni giorno la piantina della pazienza, sapendo che a volte resta e a volte scappa, ma va bene così;
alle mamme che allattano e a quelle con il biberon;
alle mamme di cuore e alle mamme di pancia;
alle mamme di bimbi pelosi;
alle mamme che sono dovute diventare mamme delle loro mamme;
alle mamme senza figli, ma che si prendono cura di qualcuno con tutto l’amore che hanno perché sanno che lì sta il segreto, la magia;
alle mamme che fanno anche da papà e ai papà che fanno anche da mamme perché la vita ha deciso così;
a tutti quanti auguri, perché la festa della mamma sia davvero tutti i giorni.

Storie di danza, calcio, colori e pregiudizi.

Chiacchiere tra mamme fuori dall’asilo.

C’è un bambino che ama ballare. Ha chiesto più volte di partecipare al corso di danza, insieme alle sue compagne, portandosi dietro i suoi amici del cuore.

Gli hanno risposto che non è possibile perché le lezioni sono solo per le bambine.

La sua mamma gli ha promesso che proporrà di aprire un corso aperto a tutti. Ma chissà. I pregiudizi sono duri a morire.

Nella classe accanto c’è una deliziosa bimba bionda. È una terza figlia, arrivata dopo due fratelli maschi e cresciuta a pane e partite a pallone in corridoio.

Le piace giocare a calcio e guarda con gli occhi che brillano i suoi compagni che il pomeriggio fanno il corso del suo sport preferito. Ma lei no, non può entrare in campo, le hanno detto. Il corso è per i maschi. Lei sarebbe l’unica bambina.

“E allora? “ mi viene da dire. “Sarebbe una ricchezza per quella squadra averla tra in campo e un’opportunità per lei”.

Passano pochi giorni e leggo la storia della mamma che se la prende con le maestre perché hanno messo a suo figlio un paio di pantaloni fucsia. 

“Meglio sporco che vestito di rosa” pare abbia detto la signora.

Non potevo crederci. Ma siamo davvero arrivati a questo punto?

Sono mamma di due maschi e tutto questo mi colpisce non poco.

Sono abituata a vedere bambini che giocano con la cucina e mettono a nanna i peluches con la stessa disinvoltura con cui danno calci al pallone o inventano le avventure dei loro super eroi preferiti. Per fortuna. Frequentano casa nostra deliziose bambine che sono grandi esperte di bisarche e piste per macchinine. Una grande compagnia per mio figlio grande nei lunghi pomeriggi invernali. Amiche preziose.

Non credo che i bambini che conosco e che amo io siano una rarità. 

Credo piuttosto che sia venuto il momento di cambiare il nostro sguardo di adulti, che sia ora di metterci davvero nelle loro scarpine, di alzarci all’altezza dei nostri figli e imparare da loro, ripartire da loro, dalla loro saggezza, dal loro cuoricino e dalla loro testolina.

Credo anche che noi genitori di figli maschi abbiamo un pezzetto di strada in più da fare; che ci saranno più cose da dire; che dovremo spiegare che è bello, giusto e sano avere voglia di giocare con la cucina o di ballare con i propri compagni di classe; che un colore non significa nulla; che non si divide il mondo in maschi e femmine, ma che potranno, anzi dovranno, immaginarsi calciatori, medici, astronauti, avvocati, pompieri e tutto quello che vorranno, ma se sapranno anche cucinare un buon risotto, se saranno bravi a fare la spesa al mercato e non vedranno loro di leggere la favola della buonanotte rischieranno di essere anche persone felici, libere dai pregiudizi e con il cuore aperto. Mica poco.

La foto di classe Christmas edition

Un messaggio lampeggiava giovedì sera sulla chat di classe:”Mi raccomando domani ricordatevi di vestire i bambini con qualcosa di bianco e rosso”.

Fine novembre. Venerdì di pioggia. 

Trenta giorni a Natale. Si aprono le danze.

Inspira ed espira che ce la facciamo anche quest’anno. Tra una corsa ai regali, due calendari dell’Avvento da preparare,un immancabile raffreddore, una visita dal pediatra, le cene per gli auguri, i regali da impacchettare di nascosto e portare in cantina quando tutti dormono e il resto della vita che va, per mamme e papà il mese che ci attende è una vera corsa a ostacoli.

 Fischio di inizio. Foto di classe in versione natalizia. Tutte le classi schierate per il calendario per l’anno che verrà, presto in vendita al mercatino della scuola. 

Stay tuned, come dice sui social chi se ne intende più di me.

La mattina delle foto bisogna essere puntuali, si raccomandano le maestre, che subito dopo il suono della campanella si scatta.

All’entrata, tra mille ombrellini colorati agitati in tutte le direzioni, il rumore allegro e inconfondibile di tanti piedini che corrono con gli stivaletti di gomma e gli sguardi solidali che ci scambiavamo tra genitori- tutti reduci dalla stessa battaglia mattutina per l’uscita di casa- mi sono tornate in mente le nostre foto di classe. Praticamente un’era geologica fa. 

Prima di Instagram, prima di whatsapp, prima del calendario di Natale.

Quando la foto di classe si faceva in primavera, tutti composti nel giardino della scuola, grembiule bianco d’ordinanza, sorriso moderato della maestra e noi un po’ timidi, un po’ impacciati, spesso poco avvezzi a stare davanti all’obiettivo.

“Sono stati tutti bravissimi”, scrive una mamma-santa- che si è offerta volontaria per aiutare durante la sessione fotografica, “sorridenti e disinvolti”. Una bella sfilata di musetti allegri, golfini con le renne, dettagli scozzesi, fiocchetti rossi tra i capelli delle bimbe.

Le foto di classe ai tempi di whatsapp.

Meno trenta giorni a Natale, dai che ce la facciamo.

Storia di una mamma a bordo campo (di calcetto).

Cielo bianco che quasi promette neve e aria che gela i nasini. Vietato dimenticarsi cappello e guantini a casa. Finalmente il signor Inverno ha fatto il suo ingresso in scena. Era ora, che tra un mesetto arriva Babbo Natale.

Ma ogni mamma sa che inverno vuol dire anche lunghi pomeriggi in casa, giochi da inventare, noia con cui fare i conti, ma soprattutto molto meno tempo al parco, meno giochi all’aperto e partite a calcio.

Ecco, il calcio. Croce e delizia di quasi tutte le madri di maschi.

Che meraviglia quando parte il calcio di inizio, sono tutti schierati davanti dalla televisione- padre e figli- e novanta minuti garantiti di silenzio religioso, fatti salvi gli urli, di gioia o di dolore.
Ma che dire dei pomeriggi gelati passati a bordo campo di calcetto?

Sì, perché con la passione non si scherza. Soprattutto con quella calcistica. Soprattutto se si hanno poco più di tre anni.

Abbiamo deciso di far frequentare al nostro bambino grande un solo corso pomeridiano, quest’anno. Convinti dell’importanza di preservare del tempo prezioso per giocare e per coltivare un po’ di sana noia.

“Scegli uno sport” gli abbiamo chiesto “cosa ti piacerebbe fare?”.

Neanche a dirlo. E calcio fu.

Bello, bellissimo davvero, vederlo far parte di una squadra, fare squadra, le guancine rosse e gli occhi che brillano di gioia.

La mamma a bordo campo osserva curiosa e contenta le prodezze del piccolo campione che sorride da dietro la rete. E si gode il momento. A settembre, a ottobre. Quando cadono le foglie ma la temperatura è ancora piacevole. O accettabile, nella sua logica di mamma.

Sì perché al momento dell’iscrizione mica ha fatto i conti, la mamma, con il suo istinto da chioccia, con la sua sindrome da nido calduccio, con “copriti bene che fa freddissimo” e “corri piano che poi sudi”,

Sì perché, sotto sotto, credeva che il Mister (“Mister, mamma, si chiama Mister o allenatore, non maestro di calcio!) esagerasse quando ha detto sereno “Giochiamo fuori tutto l’anno, anche se piove un pochino. Anche se fa freddo. Basta vestirli in maniera adeguata”. “Non vorrà mica fare la mamma chioccia?” ha aggiunto.

Sì perché, alla fine, sorride sempre un po’, quando suo marito le dice “Sarà meglio che ti abitui, sei mamma di due maschi. E’ giusto, normale e sano che giochino a calcio, all’aperto, anche d’inverno, con il freddo, con la pioggia, con il vento. Basta vestirli in maniera corretta. Non vorrai mica fare la chioccia? Non vorrai mica farli sentire diversi dagli altri?”.

Chi? Io? Per carità!

Sì, perché mica aveva considerato, la mamma, che il calciatore treenne avrebbe rifiutato con convinzione la tenuta che per lei era il minimo sindacale sbandierando la maglia della sua squadra del cuore; mai avrebbe immaginato di ritrovarsi a tenere sotto controllo le previsioni- ma soprattutto le temperature- del martedì pomeriggio, di consultarsi con le altre mamme a bordo campo su quale tenuta termica sia più adeguata.

Milano. Cielo bianco e aria di neve.

Come arriverà mamma chioccia alla fine dell’anno?

Rivoglio il mio pollaio. Subito.

 

Chat, chat, chat.

La chat di classe. Tanto amata e tanto odiata. Croce e delizia di tutti i genitori. La chat delle rappresentanti di classe e quella delle rappresentanti di tutte le classi.La chat con le maestre. La chat delle amiche storiche, quelle che ci si promette un bicchiere di vino senza figli per mesi ma alla fine non si riesce mai, e allora ben venga scriversi che almeno ci si sente più vicine, tra una corsa e l’altra. La chat con i nonni per le foto dei nipotini. La chat con i cugini che abitano lontano. La chat per il compleanno di G., quella per la cena di C., quella per l’addio al nubilato di F., quella per il concerto che aspettiamo da un anno, quella per la cena di Natale, che infondo non manca mica così tanto.

Chat, chat, chat. Dlin, dlin, dlin.

Il suono dei messaggini inizia a farci compagnia con il primo caffè della mattina e ci dà anche la buonanotte.

Distratta per natura, temo sempre che prima o poi manderò un cuore per mio marito sulla chat di classe, la ricetta del budino al cioccolato della mia nonna alla maestra anziché alla mia migliore amica, un commento sul vestito della cugina di terzo grado a Natale dell’anno scorso proprio lì dove si discute se è meglio il panettone il 25 a pranzo e il pandoro il 24 sera.

Sempre attanagliata dal senso di colpa mi viene l’ansia se non rispondo in un tempo ragionevole.
Ma una cosa l’ho imparata, a disattivare le notifiche, quasi una snobberia che però garantisce un meraviglioso silenzio.

A volte mi prende un po’ di nostalgia- saranno le foglie che cadono?- di quando gli avvisi della scuola li scrivevamo sul diario e per invitare a cena un amico scrivevamo un sms. Punto.

E voi, come ve la cavate?